mercoledì, settembre 25, 2013

No.

Due lettere, un suono.
Una cosa semplice semplice. 
Ma le ragioni che ti portano a pronunciarla non lo sono mica.
Ci pensi talmente tanto che a disegnarla mi viene in mente una mongolfiera, che per salire si riempie di gas sviluppato da una fiamma, e calore, e ossigeno, e anidride carbonica.
Così il no: si riempie dei non si, delle scelte, delle omissioni, del calore, di quel fuoco che s'accende al centro del petto, alimentato dalle emozioni. 
Tutto dentro due sillabe tenute insieme dalla malinconia.
Il no non è mica solo di chi lo riceve,
se lo prende pure chi lo pronucia.
Dicendo il no fai tu stesso una rinuncia, sai esattamente cosa non avrai più, con tutti gli annessi.
Lasci andare tutto, abbracci compresi.
Non più carezze, non più baci, non più. 
Lo sapevi? 
Dicendomi no hai davvero messo tutto in conto?
Non avrai più quelle sensazioni, né quelle cazzo di emozioni, no.
Non è mica semplice, ma il problema è che dire "si" vien facile, poi uno si gode tutto il resto; mentre il no è sofferto, ma te ne rendi conto solo dopo un po'. Quando inizia la mancanza. 
Quando sei solo nel letto che stringi il cuscino perché quelle braccia nn le hai intorno, quando ti ritrovi la sera seduto su un divano, senza il mio profumo a carezzarti, quando ti alzi e non scrivi il buongiorno né la sera la buonanotte prima di dormire. 
Lo sapevi questo?
Non avere più la voglia di raccontare qualcosa che ti ha fatto arrabbiare o gioire, non avere più la sorpresa di un caffè fuori orario. 
Ci avevi pensato?
Succederà di nuovo, lo so.
Ma intanto riecheggiano due sillabe.
Due soltanto.
Eppure sono due anche per "si".

Nessun commento: