venerdì, maggio 29, 2015

Le equazioni del caso

Numeri ed incognite, questo è per la matematica un'equazione.
Persone ed incognite, per il caso.
E tu sei l'equazione per intero.
Si diverte (il caso) a porti di fianco delle incognite, così ti ritrovi a dover risolvere la x, talvolta la y, e non sempre ne vieni a capo.
L'euforia iniziale di avere una cosa nuova, l'incognita appunto, lascia poi lo spazio alla nostalgia di averla risolta, che quasi ti dispiace averla compresa, forse ti piaceva di più prima.
Poi ancora un'altra equazione, un'altra incognita da risolvere, un'altra emozione e poi di nuovo la quiete.
Il problema è in effetti il silenzio, la quiete, il poi.
Perché nel frastuono di connessioni, pensieri, ragionamenti, ipotesi, ci sto bene. Mi piace l'incastro delle cose, mi piace svelare il piano che il caso mi ha messo dinanzi, lo scoprire la natura dell'incognita, conoscerla. Ma poi vorrei non risolverla. Il silenzio che viene dopo, non lo sopporto.
Lui, il caso, te ne fa risolvere anche più insieme, quindi hai la testa che si riempie di tutte quelle formule di cui sei a conoscenza, anzi può capitare di doverne improvvisare una nuova, e la cosa mi piace ancora di più, poi arrivi a risolverla, e lui che fa? Il caso, dico.
Silenzio.
Avevo addirittura pensato che stesse preparando il colpo di grazia, giuro. Credevo, anche con una certa ansia, che stesse preparando una di quelle incognite impossibili, come se mi avesse dato i compiti a casa in attesa dell'interrogazione alla lavagna.
Invece no, invece il silenzio.
Questo è il vero problema.
Di tutte le equazioni del caso.
La soluzione.
Il restare ferma con un foglio bianco davanti con nessuno che ti dice cos'è che devi scrivere. Un bianco che è troppo bianco e che tu non vedi l'ora di sporcarlo, fa male agli occhi.
L'attesa, il non sapere se hai già completato tutte le equazioni, che lo sai che non si finisce mai, ma la certezza che ci sia altro è la vera euforia, non la soluzione. 
Il silenzio, la vera condanna.

mercoledì, maggio 27, 2015

Anagramma perfetto.

Caos-caso.
Un piano mal riuscito.
Una questione di aspettative. 
Piano A andato a puttane, il piano B si è ritirato. Ma ero troppo convinta e quando mi punto un obiettivo non c'è scusa che tenga.
Uno a caso, ma non troppo.
Bel sorriso, bella luce negli occhi. Si, vai bene tu.
Convenevoli, stiamo tutti bene, il tempo non è granché, entrambi abbiamo le nostre vite, nessuno dei due che vuole entrare in quella dell'altro.
Non ti aspettare del sesso, ma il caffè c'è n'è. Vada per il caffè.
Imbarazzo iniziale da parte di entrambi ma è chiaro che quello che ci troviamo di fronte non ci dispiace.
Ce ne sono voluti quattro di caffè per smuoverci dalle singole posizioni.
La mano batte sul cuscino del divano, era lì che volevi mi sedessi. Io ti vengo vicino, il tuo braccio fa il giro del collo e mi spingi verso la tua bocca.
L'imbarazzo è persistente.
Poi il letto, ci svestiamo. 
No, non ci dispiace quello che vediamo.
Ma non s'era detto che non dovevamo...?
Ok, dammi un minuto.
Ma poi mi tocchi, mi sali sopra.
Ok, dammi un minuto.
Ma poi mi baci, no non mi resisti.
Ok, un minuto, ho detto.
"Lasciati andare".
Si, ti pare facile?
"Se non vuoi, non fa niente."
Se non vuoi? Non posso. Non sono così.
Non sono fatta così, devi credermi quando ti dico che è la prima volta.
Come cavolo glielo spiego il caos?
Non è che non voglio, figurati.
La tua mano sulla spalla, poi sale sul viso, mi baci, un bacio tenerissimo, poi mi metti con le spalle sul letto ed io...
Mi lascio andare.
Impacciato, è il termine che gli si addice al momento.
Ti rivesti, ti accompagno alla porta. 
Ehm, io non so come si faccia in certi casi..
Caos.
Un bacio, timido.
Arrivederci.
La seconda è stata meglio.
Tu di fronte la mia porta, il giorno dopo, che mi dici "come si fa in certi casi?"; intanto entra, poi lo decidiamo.
Seduti sul divano scomodo, io seduta di fianco. Caffè.
Poi le mani, mi inviti porgendomi le mani, sorridendo, ecco quella luce lì.
Io ti sorrido, poggiando le mie sulle tue e tu che mi tiri verso di te, poi il bacio. Coreografia perfetta.
Poi ti invito ad alzarci, tenendoti la mano.
Ti guido verso la stanza, ma sul corridoio ti fermi di botto, tirandomi verso di te.
Un braccio attorno al collo, l'altro sulla pancia, le labbra sul collo.
Caos.
Guarda tu il caso che ti combina.
Passione, questo è il termine adeguato.
Poi il letto, subito, senza resistenza alcuna. Come se entrambi conoscessimo già i passi.
Poi il gioco, dopo.
Faccio l'offesa, mi giro di spalle.
Inaspettato, questo è il termine, stavolta.
Si, perché la tua mano che da sopra il lenzuolo disegna la linea del fianco dalla spalla alla coscia... Che vuol dire?
Come se volessi avere la prova che c'ero, che fossi reale.
Poi ti stringi a me.
Nemmeno questo mi aspettavo.
E mi baci il collo, il viso, la bocca. 
Sei tenero. Eh, perché lo sei?
Poi la passione, la consumiamo fino alla fine. Poi mi fai appoggiare sul tuo petto.
No, no, perché?
Ok, come te lo spiego il caos?
Lo faccio, poi gioco con la tua pelle.
Tu ridi, lo hai fatto tutto il tempo.
Hai tenuto quella luce, l'ho vista di continuo. Ci siamo guardati, sempre. In ogni gesto, ti guardavo e tu guardavi me.
Non mi hai tolto gli occhi di dosso nemmeno un istante.
Caos.
Caso.
Come te lo spiego?
Come me lo spieghi?

Programma

È sempre utile avere un programma ben dettagliato, è necessario averne uno, sempre. Perché tanto stai sicuro che non riesce. 
Finisce sempre così, ti organizzi per bene, nel dettaglio, prevedi persino alcune cose, te le immagini talmente tanto che ti ci fai pure la bocca.
Poi ci pensa la vita, il destino, chiamalo come vuoi, io lo chiamo Caos.
In una sera qualunque, in un posto comune, da sola.
Si, perché avevo in mente altro per me.
Avevo messo il vestito, i tacchi ed il completino per lui, che alla fine non è riuscito a venire. 
Ma avevo la riserva.
Pensavo che quelle persone che mi trascinavo da un po' dovessero passare al livello successivo. Perciò il piano B.
Che manco lui ha funzionato, alla fine ha avuto paura.
Ed io che fin qui c'ero venuta anche per loro mi ritrovo a fare i conti con me stessa e decidere cosa farne delle mie aspettative. 
Telefono pronto. Io stasera a casa da sola, no. 
Che poi noi non siamo proprio le migliori amiche di noi stesse, certe idee potrebbero essere deleterie.
Eccolo, lui è carino, speriamo mi scriva.
Oh, guarda, mi ha scritto.
Alla fine "beh, se ti aspetti del sesso puoi stare a casa, ma se volessi del caffè, quello ce l'ho".
Ecco, uno sconosciuto, a casa.
Per la prima volta in trent'anni.
Non era proprio previsto questo piano C.
Tutto quello che è successo poi nemmeno lo avrei immaginato.
Semplicemente perché questo piano C non solo non lo avevo pensato, non ero pronta e non avevo neanche gli strumenti.
La verità è che tante volte una passa le ore a farsi dei progetti, talmente accurati da prevedere gli imprevisti, ma alla fine ci si mette di nuovo la vita a decidere per te e quando la lasci fare ti regala sempre belle sorprese.

mercoledì, maggio 13, 2015

Dare un nome.

Dare un nome alle emozioni, ho letto da qualche parte, aiuta a gestirle, incanalarle nella giusta direzione e superarle.
Io ho appena brindato a me, alla nuova me, perché così non se ne esce.
Sono ancora piena di inespressi pensieri, parole sommesse, emozioni soffocate e lacrime taciute.
Un pensiero la volta, piano non spingete.
Solitudine, stanca.
Sono stanca di essere sempre sola a dover affrontare sempre tutto da sola. Certo che non vado cercando l'aiuto, me la cavo da sola, ma sapere che c'è qualcuno pronto a tenermi la mano mi farebbe stare meglio. Tutti, sottolineo tutti, hanno sempre come punto principale il proprio tornaconto, perché io non riesco a fare lo stesso?
Sono stanca di andare a dormire in un letto singolo e trovarlo freddo.
Ho provato con qualche messaggio distratto a sconosciuti più o meno piacevoli, ma non ha funzionato.
Ho dovuto riempire il solito bicchiere col whisky.
Per oggi basta questo.
Di nuovo sola, nel mio letto singolo e nessuno a cui dare la buonanotte.